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A noi il Natale non piace, sebbene stia arrivando e le convenzioni sociali impongono che si facciano doni a coloro i quali vogliamo bene. Dovremmo a questo punto consigliare di mettere sotto l’albero Interferenza Cobain, ma non ce la sentiamo, perché non è un libro natalizio. Aspettate gennaio, o un lunedì, per leggerlo, quando il disagio che abbiamo dentro sarà più ricettivo e potremo apprezzare meglio tutte le discordanze e il flusso di stimoli distonici che Francesco, con grande umiltà e coraggio, ha tradotto in scrittura.
Roma, 1992. Ma non la Roma che ricordiamo noi della Generazione X. Una Roma distopica, onirica, quasi guardata attraverso un cronovisore – uno di quegli strumenti che, secondo le leggende, giace nelle cantine del Vaticano e permette di osservare il passato in bianco e nero, con righe che disturbano l’immagine e una patina analogica che confonde la visione, ma non il senso di ciò che si sta osservando.
In questo quadro si colloca Interferenza Cobain, opera prima di Francesco Collacchi, 37 anni, una vita da libraio che ora ha ben pensato di passare dall’altra parte dell’editoria. Vi ricordate? L’avevamo intervistato qui, e già aveva saputo dare prova della sua scrittura.
Scrivere un libro con Kurt Cobain nel titolo potrebbe sembrare una trovata astuta, ma qui il nome non è un richiamo vuoto. L’interferenza non è solo nel titolo: è nel tessuto stesso del libro, fatto di emozioni dissonanti, dialoghi non detti e un’irrequietezza che attraversa ogni pagina.
Il protagonista, Davide, è un giornalista romano che si occupa di critica musicale, arrangiandosi scrivendo per fanzine locali. La sua esistenza è scandita dall’amore per Sofia, la figlia quasi adolescente che illumina la sua vita caotica. La relazione con Marta, madre di Sofia, è finita non per mancanza d’amore, ma perché i tormenti dell’anima, come le interferenze di un vecchio televisore, ci trascinano spesso in direzioni impreviste, lasciando immagini distorte ma indelebili.
Il libro, edito da Edizioni Efesto, è in libreria dal 31 ottobre scorso. Devo confessare che da qualche anno, anche a causa degli occhi non più buoni come un tempo, preferisco leggere i libri sul mio Kindle. In questo caso, però, non poteva mancare il cartaceo con la dedica. E nel maneggiare il libro ho potuto apprezzare la scelta della carta, satinata al tatto e di un bel colore perlaceo, del Garamond che è sempre un carattere di carattere, oltre che di gran classe, il nome e cognome scritti in minuscolo, così come il titolo. Questo accorgimento grafico dona al libro un’eleganza sobria, che riflette in qualche modo la tensione contenuta tra le righe del testo.
Troviamo diversi capitoli introdotti da una citazione e QR code che rimandano a video musicali su YouTube, trasformando la lettura in un’esperienza multisensoriale, come se ogni pagina avesse una colonna sonora a sé. Altri elementi grafici, sparsi qua e là, arricchiscono la sensazione di straniamento già molto presente nel testo. Ma la chicca vera è l’illustrazione a pagina 96. Se la volete vedere, però, compratevi il libro, perché io non ho alcuna intenzione di descriverla.
La scrittura di Collacchi è dura. Non nel senso che è difficile, per quanto non sia una scrittura semplicistica. È dura perché è un turbinio di emozioni, pensieri, salti e capriole, quasi un flusso di coscienza che non dà tregua, mantenendo il lettore ancorato alla prossima pagina non per scoprire cosa succede (nelle prime cento pagine di fatto sono successe pochissime cose) ma per capire dove il sentire del protagonista, pieno di angoscia e di disagio, confligge con la sua bontà d’animo, con l’amore viscerale per la figlia, con il senso di inadeguatezza che è comune, più o meno intenso, in quella fase della vita di tutti noi.
Il concerto dei Nirvana al Palaghiaccio di Marino, a febbraio del 1994, è il momento di rottura. Non facciamo spoiler, ma è in questo contesto che avviene l’interferenza. Ai limiti della coscienza, Davide, che si trova in coma dopo un incidente, deve fare i conti con se stesso attraverso gli occhi e l’anima di Kurt, che è lì con lui. Questa “interferenza” nasce nel momento in cui, ancora in coma, Davide percepisce che Kurt lo risveglia canticchiando The Man Who Sold the World di David Bowie (il titolo del capitolo L’uomo delle stelle è un tocco di classe di Collacchi) e gli propone di scappare dall’ospedale. A questo punto, però, dobbiamo attraversare lo schermo del cronovisore, per scoprire cosa succede, e non vogliamo certo raccontarlo noi, visto che Collacchi è assolutamente credibile nella ricostruzione di una Roma che non c’è più, ma che agli occhi di noi che l’abbiamo vissuta rimane ancora quella, anche se soltanto nel nostro sentire. Sta al lettore capire quanto l’interferenza sia significativa, quanto decisiva o quanto un semplice passaggio di un “gigante gassoso” vicino a un altro.
Interferenza Cobain non è solo un romanzo in cui figura Kurt Cobain, ma un viaggio attraverso le inquietudini umane. Collacchi, con maestria, sfrutta l’interferenza di Kurt come specchio e stimolo per il protagonista, Davide, permettendogli di riflettere sulla propria identità e sul suo posto nel mondo. Kurt non è solo un mito, ma diventa un ragazzo vero, con le sue angosce e tormenti, specchiandosi in Davide e mostrando quanto sia facile perdere il controllo e quanto arduo trovare una via di redenzione.
Vera redenzione non c’è, ma occorre superare le criticità per imparare a convivere con la propria anima, accettarla e renderla libera. Attraverso questo racconto, il lettore è invitato a confrontarsi con le proprie ombre e il proprio male di vivere, catapultato in una Roma onirica e nostalgica, che esiste oggi solo nel sentire di chi l’ha vissuta.
La figura di Kurt diventa un catalizzatore di riflessione e crescita, trasportando il lettore in un viaggio emozionale che va oltre la semplice lettura di una storia. Leggere Interferenza Cobain significa attraversare una distorsione spazio-temporale, esplorare le vite, i malesseri e le speranze di Davide e Kurt, ma anche riflettere su di sé, sulla propria identità e sulla ricerca di una verità personale.
E noi lo sappiamo che non la troveremo, la verità. Ma non è questo il bello di continuare a leggere, comprendere, crescere?
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Damiano Morelli
Damiano Morelli è un linguista (in teoria), ma nella vita fa tutt'altro e si pregia di essere un buonista, un radical chic, un nerd. Ma di quelli vintage, originali degli anni '80.